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La visita dell’arcivescovo alle famiglie degli 82 lavoratori che rishciano il licenziamento

Ex Fivit Colombotto: una ferita per Collegno

Mons. Nosiglia ha assicurato di farsi tramite presso la proprietà - Giovedì 13 il tavolo in Regione

 

Alla fine la proprietà dell’Ex Fivit Colombotto, la famiglia Agrati, ha accettato l’invito a partecipare al tavolo di concertazione con tutte le parti interessate, convocato dall’ assessore regionale al Lavoro Claudia Porchietto per il pomeriggio di giovedì 13 marzo a Torino. Un appuntamento Monsignor Nosiglia con le famiglie dei lavoratori dell'ex Fivit Colombottorichiesto con forza dai lavoratori, sindacati e amministratori locali alla cui realizzazione ha dato un contributo significativo la visita dell’Arcivescovo ai cancelli della fabbrica collegnese, nella mattinata di sabato 9 marzo Mons. Cesare Nosiglia, invitato dal moderatore dell’Unità pastorale di Collegno don Salesio Sebold con i parroci e da alcuni dipendenti, ha portato la solidarietà e la vicinanza della Chiesa torinese alle famiglie degli 82 lavoratori che lo scorso gennaio hanno ricevuto dalla proprietà dell’impianto collegnese la lettera di licenziamento. Una situazione paradossale, come hanno spiegato i dipendenti a mons. Cesare Nosiglia: lo stabilimento ex Fivit Colombotto infatti non è in crisi, anzi. Pare che la proprietà si stia preparando a spostare la produzione di viti e bulloni per auto ed elettrodomestici, in cui l’azienda di Collegno è specializzata, in un impianto gemello in Francia per razionalizzare la produzione. Motivi strategici dunque, che nulla hanno a che fare con i bilanci dello stabilimento di Collegno, «che fino a due giorni prima dell’invio delle lettera di licenziamento era considerata un’azienda sana tanto che gli 82 dipendenti avevano percepito un premio di risultato per aver raggiunto il 100% degli obiettivi» – come hanno illustrato all’Arcivescovo i rappresentanti sindacali degli 82 dipendenti a cui se ne devono aggiungere una decina di esterni tra addetti alla mensa ed elettricisti.

«Ringrazio i parroci di Collegno per la loro vicinanza a questi lavoratori e alle loro famiglie – ha detto mons. Nosiglia, accolto con affetto dai dipendenti accompagnati dai loro figli – la vostra sofferenza, frutto di una palese ingiustizia, dal momento che siamo di fronte ad un’azienda sana, è una ferita per tutta la comunità cristiana e la cittadinanza di Collegno. Per questo invito tutte le parti coinvolte nella vicenda, in primis la proprietà, a dialogare perchè si trovi una soluzione che non tenga solo conto delle logiche di mercato ma delle persone che sono coinvolte. Il capitalismo selvaggio non può calpestare uno dei diritti fondamentali della persona, il lavoro. Senza il lavoro le famiglie perdono la serenità, i giovani non possono costruire il proprio futuro: la Chiesa non può essere indifferente e ha il dovere di sostenere la comunità quando è nel dolore».

L’Arcivescovo si è poi soffermato a lungo a parlare con i dipendenti, i parroci, il vicesindaco di Collegno, Francesco Zurlo, soprattutto con i ragazzini figli dei lavoratori e lavoratrici che gli hanno mostrato i disegni indirizzati alla proprietà e che in questi giorni grazie al tam tam dei social network hanno fatto il giro d’Italia. Mons. Nosiglia ha ricordato come anche lui da figlio ha sperimentato la difficoltà della carenza del lavoro quando suo padre era dipendente della Piaggio. «Coraggio – ha detto con forza a tutti l’Arcivescovo – Il nostro compito è quello di stare vicino alle persone e alle famiglie nella prova con l’ascolto, la vicinanza, talvolta la mediazione tra le parti sociali – ma chi ha responsabilità deve fare la sua parte perché questi bambini possano avere futuro e i loro padri e madri abbiano la possibilità di assicurarglielo».

Tra i parroci, don Filippo Raimondi alla guida delle comunità di San Lorenzo e San Giuseppe ha richiamato la responsabilità sociale dell’impresa: «Il Catechismo della Chiesa Cattolica sottolinea che gli imprenditori e i dirigenti, soprattutto quelli che si dicono credenti non possono tenere conto esclusivamente dell’obiettivo economico dell’impresa: è loro preciso dovere anche il concreto rispetto della dignità umana dei lavoratori che operano nell’impresa. L’imprenditore che pensa solo al suo profitto non fa impresa. Invitiamo dunque tutti coloro che hanno responsabilità ma anche la nostra comunità cittadina e le nostre comunità parrocchiali – come è accaduto in questi giorni a prendere coscienza che se non si rimette al centro l’uomo nelle nostre scelte andiamo verso una disumanizzazione senza ritorno». L'Arcivescovo con i parroci di Collegno e i figli dei dipendenti dell'ex Fivit

Sabato mattina ai cancelli dell’ex Fivit Colombotto c’era un parrocchiano di don Raimondi, membro del consiglio pastorale: Giovanni Musso, dirigente in pensione dell’ Ex Fivit Colombotto dal 2005. «Questa vicenda – ci ha detto – per me è una doppia ferita. Penso alle famiglie di questi lavoratori che stanno subendo un’ingiustizia perché questo è un impianto che fino a ieri era a pieno regime. E penso agli anni che ho trascorso qui dentro: io ho seguito la costruzione di questo stabilimento e poi ho collaborato alla gestione della produzione. L’unico criterio che muove l’economia non può essere quello del profitto. Questa è una azienda sana, i lavoratori hanno contribuito alla ricchezza della proprietà: è loro precisa responsabilità tenerne conto e agire di conseguenza».

Marina LOMUNNO (da “La Voce del Popolo” del 16 marzo 2014)