Questo sito utilizza i cookies per la gestione della navigazione. Proseguendo o cliccando su "Accetto" acconsenti al loro utilizzo.

Tutta Collegno, in lutto cittadino, si è fermata nella mattinata di sabato 11 gennaio quando si sono celebrati nella parrocchia di San Massimo i funerali delle vittime della strage avvenuta la vigilia di Capodanno a Collegno. Un migliaio di persone dentro e fuori la chiesa sono accorse attonite, creando un clima di silenzio e di partecipazione, alla liturgia che ha dato l’ultimo saluto a Letizia Maggio, alla figlia Giulia, alla madre Daria Maccari e il marito Daniele Garattini che ha ucciso le tre donne e se stesso.

Ha presieduto la Messa, a nome dell’Arcivescovo in viaggio nella missione diocesana in Kenya il vicario episcopale territoriale, don Mimmo Mitolo, per tanti anni parroco a Collegno. Ha concelebrato il parroco di San Massimo, don Claudio Campa che la sera precedente aveva guidato una veglia di preghiera in suffragio della sfortunata famiglia. Ha concelebrato anche  il diacono Andrea Savino che ha letto il messaggio che l’Arcivescovo ha inviato a don Campa, ai suoi parrocchiani e ai superstiti della famiglia Garattini. «Di fronte a questi fatti si rimane senza parole – ha scritto mons. Nosiglia – e solo la preghiera dà forza e coraggio nell’affrontare uniti queste terribili situazioni della vita e infonde speranza nel Signore morto e risorto che sostiene e illumina il grande buio che portiamo nel cuore. Chi crede in Cristo sa che il male, per quanto terribile sia, non ha mai l’ultima parola e può essere vinto con il bene anche quando tutto sembra oscuro e inspiegabile.

L’invito è dunque alla preghiera, ma anche un forte appello a trovare vie di maggiore prossimità e solidarietà sul piano morale e psicologico, oltre che materiale e sociale, verso persone in grave difficoltà a causa del lavoro o di altre situazioni di disagio sul piano personale e familiare. Le responsabilità personali restano tutte, ma si leva da queste tragedie un grido di allarme e insieme di aiuto, che non deve restare inevaso e lasciarci indifferenti».

«Ogni vita che si spegne, portando con se addirittura i propri cari – ha proseguito l’Arcivescovo - lacera anche il tessuto sociale di cui facciamo parte ed esige pertanto un supplemento di quella fraternità a cui ci richiama nel suo messaggio per la Giornata della Pace Papa Francesco. Fraternità che si realizza a partire da quel senso morale che alberga in ogni coscienza e che va esercitato con fatica e impegno a cominciare dalla propria casa, nel vicinato e in ogni occasione in cui le relazioni tra le persone rappresentano un dono e insieme un compito, da assumere tutti con responsabilità gli uni verso gli altri».

Alla Messa erano presenti anche le autorità cittadine con in testa il sindaco Silvana Accossato e gli assessori, il personale del Comune, rappresentanti di Polizia, Carabinieri e Provincia dove Giulia stava frequentando i corsi per guida turistica. «La tragedia – dice don Mimmo Mitolo – ha scosso tutti ed io ho cercato di dare speranza in un momento di forte sgomento. Non è stato semplice… Quando ho visto le foto di Giulia e di sua mamma Letizia sui giornali le ho riconosciute perché frequentavano la parrocchia della Beata Vergine Consolata dove sono stato parroco per molti anni. A Giulia ho dato io la Prima Comunione e la Cresima, i genitori li ho incontrati in diverse occasioni durante il cammino di iniziazione cristiana. Poi Giulia ha frequentato i gruppi dell’Oratorio… In un momento così doloroso ho provato a pensare a cosa può dirci il Signore, visto che tutti, chi più chi meno, siamo interiormente disarmati. Ho scelto il vangelo di Gesù che calma il lago in tempesta e credo che la Sua presenza si sia sentita».

C’è un paragrafo nell’ultima lettera scritta da Papa Francesco – ha richiamato don Mitolo nella sua omelia – che si intitola «No al pessimismo sterile». «Il Papa scrive che i mali del nostro mondo non dovrebbero essere scuse per ridurre il nostro impegno, ma sfide per crescere – ha ricordato don Mitolo –. Una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore e l’audacia è il senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura. Siamo invece chiamati ad essere persone-anfore per dare da bere a quanti hanno sete in questo mondo che spesso è divenuto un deserto. A volte l’anfora si trasforma in una pesante croce, ma è proprio sulla croce che il Signore, trafitto, si è consegnato a noi come fonte di acqua viva. Non lasciamoci rubare la speranza!».

 Marina LOMUNNO (da “La Voce del Popolo” del 19 gennaio 2014)