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Sacerdote eccezionale, cresciuto e vissuto nella Chiesa di san Massimo, San Giovanni Bosco si identifica in maniera perentoria e perfetta con la figura del sacerdote di Cristo e questa identificazione matura nel corso della sua esistenza con una progressiva penetrazione del mistero e del ministero sacerdotale a cui il Santo, fin da fanciullo, si è sentito attratto da una vocazione tanto vivida e tanto sicura.

Ma quale il modello sacerdotale che affascinò Don Bosco nei primi anni della sua vita e lo rese tanto tenace nel perseguirne la realizzazione? A me sembra di poter identificare questo modello in un tipo di sacerdote che non è isolato nella tradizione spirituale del nostro Piemonte, ma che ne è piuttosto una realizzazione plenaria particolarmente splendida. In Don Bosco si trovano realizzati i tratti della spiritualità sacerdotale propugnata da san Giuseppe Cafasso che del nostro santo fu maestro di teologia morale e «pastorale pratica», e insieme confessore, direttore spirituale, consigliere.

 Il modello sacerdotale cafassiano realizzato da Don Bosco affonda le radici nell'humus fecondo della millenaria tradizione cattolica, rivitalizzata dalla riforma tridentina e arricchita da apporti ignaziani, filippini, vincenziani, salesiani e da tanti altri filoni minori. Tale tradizione si era radicata in Piemonte, e particolarmente a Torino, favorita dall'azione di alcuni grandi arcivescovi tra il '600 e il '700, animata dal carisma del beato Sebastiano Valfrè, dall'opera nascosta delle Amicizie Sacerdotali del p. Nicolaus Diessbah, di Pio Brunone Lanteri e del teologo Luigi Guala, stimolata infine dall'intelligente azione restauratrice dell'arcivescovo Colombano Chiaverotti.

 Nel seminario di Chieri, san Giovanni Bosco assimilò i valori che l'austero regolamento e la tradizione formativa proponevano ai giovani chierici: studio intenso, spirito di sincera pietà, ritiratezza, obbedienza impastata di fede, disciplina interiore ed esteriore.

Nel Convitto ecclesiastico di San Francesco d'Assisi ricevette una qualificazione pastorale teorica e pratica e consolidò la sua vita interiore. I tratti salienti di questa spiritualità propugnata dal Cafasso sono: centralità del servizio divino (determinata dal dominante amore del Signore, dal desiderio di conformazione alla divina volontà, di totale disponibilità al suo servizio con prontezza, esattezza e garbo), spirito di orazione, di dolcezza e di carità, di povertà, distacco e mortificazione, di umiltà e lavoro intenso; dono assoluto di sé nella cura pastorale del prossimo, zelo instancabile per accogliere, avvicinare, cercare, animare, esortare, istruire, incoraggiare persone di ogni età e categoria, soprattutto gli umili, i piccoli, i poveri e i peccatori; tensione missionaria; dedizione senza pausa alla predicazione, alla catechesi, al sacramento della penitenza, tenera devozione mariana, senso di appartenenza ecclesiale e devozione al Papa e ai pastori della Chiesa.

In Don Bosco tutto questo fu ulteriormente caratterizzato da una singolare vita interiore, da una donazione senza riserve al suo ministero, dall'attenzione preferenziale per i giovani e per il popolo, da una dolcezza di tratto amabile e accattivante, da fantasia e intraprendenza pastorale, dalla capacità di discernere i segni dei tempi e di intuire i bisogni del momento e i futuri sviluppi. Egli ebbe una profonda vita interiore ed insieme fu intraprendente, coraggioso, ottimista, capace di contagiare e di coinvolgere tanti nella sua opera educativa e pastorale.

Poteva pregare don Bosco?

La domanda non è retorica: scende direttamente da quanto abbiamo appena detto della sua attività multiforme e pressoché continua, la quale sembrava sequestrarlo a quella preghiera esplicita che si riscontra così ampia nella vita di tutti i santi. Fece scandalo in un tempo in cui non erano pochi quelli che consideravano il lavoro come un tempo tolto alla preghiera. La situazione veniva aggravata dal fatto che don Bosco, sia pure a causa di un persistente male di occhi di cui soffriva fino dal 1843, ma anche in vista delle eccessive occupazioni, aveva ottenuta la dispensa dalla recita del breviario da Pio IX: prima a viva voce, poi con regolare rescritto della Sacra Penitenzieria (19.XI.1864).

Don Bosco «uomo di preghiera»

 

Quantitativamente e qualitativamente diversa da quella di altri santi, la preghiera di don Bosco risultava, però, non meno vera e profonda alla prova dei fatti. Le testimonianze hanno svelato via via in don Bosco una insospettata ed esaltante attività di preghiera. Mancavano le esteriorità, i grandi gesti, ma la preghiera irrompeva per ogni dove. Di lui si poteva affermare ciò che fu rilevato nella vita di S. Bernardo: «sempre occupato in tanti affari: la periferia, in quella sua vita, non dava noia al centro e il centro non dava noia alla periferia. Periferia era l'attività esteriore, centro il mistico raccoglimento interno» (E. Celia).

Dispensato dalla recita del Breviario, lo diceva in realtà quasi sempre e con grande devozione; impedito da forza maggiore vi suppliva, come risulta da questa sua formale ed eroica promessa, «col non fare atto o pronuniar parola che non avesse di mira la gloria di Dio».

Testimonianze ineccepibili dicono che quando pregava «aveva dell'angelo». «Pregava in ginocchio con la testa leggermente china, aveva un'aria sorridente. Chi gli stava vicino non poteva fare a meno di pregare anche lui bene. Son vissuto — depose il Coadiutore P. Enria — con lui 35 anni e l'ho sempre veduto a pregare così».

 

Considerava la preghiera come la spartizione volontaria, da parte di Dio, della sua onnipotenza con la debolezza umana e le dava una precedenza assoluta: «La preghiera, ecco la prima cosa». «Non si comincia bene — diceva — se non dal cielo». La sua istituzione è fondata sulla preghiera: «Diedi il nome Oratorio a questa casa, per indicare ben chiaramente come la preghiera sia la sola potenza su cui possiamo fare affidamento». A Valdocco la preghiera e lo spirito di preghiera si respiravano nell'aria. Si potevano leggere sul volto dei suoi abitanti, molti dei quali formeranno la prima generazione salesiana.

Dal prete esigeva, essenzialmente, quanto si praticava in Convitto: celebrazione devota della S. Messa, Ore liturgiche, meditazione, lettura spirituale non disgiunta dalle "pratiche" e "devozioni" del buon cristiano. Quali fossero le Pratiche del buon cristiano» non è difficile dire. Sono le preghiere e gli atti di pietà — ma anche la recita di formule che preghiere non sono, come ad esempio, le sette opere di misericordia corporale e spirituale, i dieci comandamenti, ecc. — riportate nel catechismo della diocesi, che resta invariato nel tempo di don Bosco, o contenute nei «regolamenti di vita» proposti da autori spirituali. A questo andavano unite le altre pratiche quotidiane, settimanali, mensili, annuali, vive nel tessuto del costume cristiano, come: la frequente confessione e comunione, le visite al SS.mo Sacramento, il ritiro mensile della Buona morte, gli Esercizi spirituali annuali, rifioriti a Torino all'inizio del secolo.

 

Le «preghiere brevi»

«La vita attiva cui tende la nostra Congregazione — leggiamo già nella primitiva redazione delle Costituzioni (1858-1859) — fa che i suoi membri non possono avere comodità di far molte pratiche in comune». Questa espressione insinua, implicitamente, che sono possibili e raccomandabili molte altre forme di preghiera personale. Tra queste don Bosco, seguendo l'insegnamento del Convitto, ha sempre dato grande importanza alle giaculatorie. L'oratio iaculatoria», «furtiva», è l'orazione «pura» e «breve» della tradizione monastica, che prolunga nella giornata la preghiera del coro. Gli antichi la consideravano il frutto più bello della «lectio divina» e della «meditatio». S. Agostino ne parla come di «rapidi messaggi che partono all'indirizzo di Dio». S. Francesco di Sales le definisce «brevi, ma ardenti slanci del cuore» a Dio, e soggiunge: in esse «consiste la grande opera della devozione».

Con Dio» nelle attività di ministero

Le tipiche attività ministeriali di don Bosco, svolte in virtù del carattere sacerdotale, che lo configura a Cristo Capo e ne fa un collaboratore essenziale del vescovo in ordine all'edificazione della Chiesa, si distinguono, come rilevano gli autori, da ogni altra forma di attività benefica, perché sono la continuazione e il prolungamento della stessa attività redentrice di Cristo, che diffonde il suo messaggio di salvezza e comunica la vita divina. In questo tipo di azione don Bosco opera «in persona Christi», è suo «strumento vivo». Perciò non solo le sue intenzioni sono spirituali, ma spirituale è la struttura stessa dell'azione che compie, in quanto prolunga direttamente l'agire salvifico e attuale di Cristo.

Nell'esercizio delle sue funzioni sacerdotali don Bosco si manifestava un uomo completamente astratto dalle cose di questo mondo, tanto era raccolto in Dio. Tutti potevano costatarlo quando celebrava la Santa Messa, quando parlava di Dio con una unzione che gli veniva da regioni superiori. Se ne stava, ad esempio, nel confessionale «parecchie ore di seguito, interamente compenetrato nel suo ministero, senz'aria di noia, senza mai sospendere per ragioni umane. Non sospendeva nemmeno quando convenienze eccezionali sembravano consigliare di farlo. È inutile discutere: per i santi non esistono negozi terreni che reggano al confronto degli interessi celesti» (E. Ceria).

 

«Con Dio» nelle attività caritative

«Dire don Bosco è dire carità: carità inesauribile nel trattare coi prossimi, carità ineffabile nel sollevare afflitti e confortare moribondi, carità eroica nell'andare in cerca dei mezzi per praticare la carità». Tutta la vita lo prova.

«Con Dio» nelle attività profane

Anche delle attività di tipo prevalentemente profano, che abbondano nella vita di don Bosco — lavori manuali, professionali, scuola, stampa, cultura, ecc. — egli ha fatto il luogo del suo incontro con Dio, la via per salire a Lui.

Estasi dell'azione

Nel suo Trattato dell'amor di Dio S. Francesco di Sales riprende la distinzione classica delle tre estasi: «Le estasi sacre sono di tre specie: una intellettiva, l'altra affettiva, la terza operativa. La prima è luce, la seconda fervore, la terza azione; la prima è fatta di ammirazione, la seconda di devozione, la terza di opere». Le prime due non hanno la solidità della terza perché possono essere contraffatte e riuscire devianti

Fenomeni estatici

Si caratterizzano per un forte assorbimento in Dio e per la sospensione, più o meno lunga, più o meno intensa, dei sensi esterni divenuti come impotenti di fronte all'irrompere del divino. La forte fibra di don Bosco lo portava a dominare il fuoco dell'amore che gli ardeva dentro ed a non lasciar trapelare al di fuori i suoi sentimenti.

Ma negli ultimi anni, come risulta da testimonianze attendibili, anche egli sperimentò quei fenomeni estatici, che di solito accompagnano i gradi più elevati della preghiera. Si potevano intravedere in momenti di profondissimo raccoglimento.

Momenti di vera e propria estasi coglievano don Bosco, quando celebrava la santa messa o mentre si trovava solo nella quiete della sua stanza. Nell'inverno del 1878 i due giovani, che gli servivano la santa messa nella cappella presso la sua camera, all'elevazione «videro il celebrante estatico e con aria di paradiso sul volto: sembrava che rischiarasse tutta la cappellina. Quindi a poco a poco i suoi piedi si staccarono dalla predella ed egli rimase sospeso in aria per ben dieci minuti. I due servienti non arrivavano ad alzargli la pianeta. Garrone [uno dei due] fuori di sé dallo stupore corse a chiamare don Berto, ma non lo trovò; ritornando arrivò mentre don Bosco discendeva».

A volte il suo corpo si trasfigurava e diventava luminoso, come si legge di molti santi. Don Lemoyne per tre sere sul tardi vide la faccia di don Bosco accendersi gradatamente fino ad assumere una trasparenza luminosa: tutto il volto mandava uno splendore forte e trasparente.