Intervento dei parroci
Capitolo Primo dell’esortazione apostolica di Papa Francesco:
LA TRASFORMAZIONE MISSIONARIA DELLA CHIESA
I. Una Chiesa in uscita | padre Salesio |
II. Pastorale in conversione | don David |
III. Dal cuore del Vangelo | don Dario |
IV. La missione che si incarna nei limiti umani | don Filippo |
V. Una madre dal cuore aperto | don Claudio |
Lavoro dei Gruppi
Conclusioni del ritiro di Quaresima
IV. La missione che si incarna nei limiti umani
n.41: molteplicità delle formulazioni à limiti del linguaggio e delle circostanze nel deposito della dottrina cristiana «una cosa è la sostanza […] e un’altra la maniera di formulare la sua espressione; l’espressione della verità può essere multiforme, e il rinnovamento delle forme di espressione si rende necessario per trasmettere all’uomo di oggi il messaggio evangelico nel suo immutabile significato.
n.42: irriducibilità del Vangelo à non potremo mai rendere gli insegnamenti della Chiesa qualcosa di facilmente comprensibile e felicemente apprezzato da tutti. La fede conserva sempre un aspetto di croce,
una sintesi contro l’ansia da prestazione: Se si usa il vocabolario e il fraseggio delle persone normali e dei comuni credenti, si può stare sicuri che le effettive incomprensioni sono rare: gli ascoltatori che rifiutano l’annuncio evangelico, di solito non è perché non lo capiscono; è perché non gli piace. Card. Giacomo BIFFI, in Avvenire 21.11.08, estratto da Pecore e pastori. Riflessioni sul gregge di Cristo, Cantagalli, 2008 legge della gradualità (GP2) passo possibile (d.Campa) à Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà; non rinuncia al bene possibile,
Domanda: quali sono le pagine più “dure” del Vangelo?
V. Una madre dal cuore aperto
Una Madre, è la madre di Gesù e la Madre nostra, attenta alla voce di Dio e ai bisogni e difficoltà dei suoi figli. Maria si incammina in fretta dalla Galilea alla Giudea per incontrare e aiutare la cugina Elisabetta.
Si tratteggia il volto di una Chiesa missionaria ed estroversa.
Al n46. La Chiesa “in uscita” è una Chiesa con le porte aperte.
“Ho bisogno di uscire per strada, di stare con la gente” dice Papa Francesco (abitazione a Santa Marta)
Uscire verso gli altri per giungere alle periferie umane non vuol dire correre verso il mondo senza una direzione e senso. Molte volte è meglio rallentare il passo,… per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada.
Nella sua Lettera all’Arcidiocesi di Buenos Aires per l’anno della fede, l’allora cardinal Bergoglio aveva fortemente lamentato che “la crescente insicurezza ha portato a poco a poco a sbarrare le porte, a collocare sistemi di vigilanza, telecamere di sicurezza, a diffidare degli estranei che bussano alla porta”. La porta chiusa sembra essere per Bergoglio simbolo del mondo di oggi che delinea uno stile di vita, un modo di porsi di fronte alla realtà, di fronte agli altri, di fronte al futuro. Invece l’immagine di una porta aperta è sempre stata il simbolo di luce, amicizia, gioia, libertà, fiducia. Quanto bisogno abbiamo di recuperare tutto ciò! La porta chiusa ci danneggia, ci atrofizza, ci separa.
Il tema delle “porte aperte” è centrale nella predicazione di Papa Francesco, che vuole una Chiesa non preoccupata di fortificare i confini, ma di cercare l’incontro.
Inoltre non basta aprire le porte è necessario uscire per strada, di stare con la gente.
“Si deve andare verso le frontiere e non portare le frontiere a casa per verniciarle un po’ e addomesticarle.
L’obiettivo non è l’annessione delle frontiere, ma la nostra capacità di abitare i confini difficili e di entrare in contatto con le realtà culturali e sociali “lontane” e non aggiunte ancora dalla parola del vangelo.
“Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità.
L’esempio che il Papa fa nasce dall’esperienza della sua malattia e della cura ricevuta: “Pensiamo alle suore che vivono negli ospedali. Loro vivono nelle frontiere. Io sono vivo grazie a una di loro. Quando ho avuto il problema al polmone in ospedale, il medico mi diede penicillina e streptomicina in certe dosi. La suora che stava in corsia le triplicò perché aveva fiuto, sapeva cosa fare, perché sta con i malati tutto il giorno. Il medico, che era davvero bravo, viveva nel suo laboratorio, la suora viveva nella frontiera e dialogava con la frontiera tutti i giorni. Addomesticare le frontiere significa limitarsi a parlare da una posizione distante, chiudersi nei laboratori. Sono cose utili, ma la riflessione per noi deve sempre partire dall’esperienza.
Al n.47:Se qualcuno cerca Dio non deve trovarsi la freddezza di una porta chiusa. Inoltrela porta aperta dei sacramenti, il battesimo e l’eucarestia, non dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi a tutti deve essere data la possibilità di far parte della comunità. La Chiesa è il luogo dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa.
Al n48: La porta aperta dice undinamismo missionario. Però chi si dovrebbe privilegiare? i poveri sono i destinatari privilegiati del vangelo… non lasciamoli soli.
Al n49: Usciamo. Usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo. Ripeto qui per tutta la Chiesa ciò che molte volte ho detto ai sacerdoti e laici di Buenos Aires: preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze.
È una chiesa capace di uscire dalla propria terra e di andare dove oggi, nel ferito, Dio si fa incontrare.
Siamo chiamati ad essere imitatori del Cristo che “percorreva le strade della Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità” (Mt 4,23).
È un modello di chiesa che si concentra sull’iniziare processi di cura più che occupare spazi o costruendo strutture in cui questo avviene. Senza nulla togliere alla loro importanza. Ma sceglie la capacità di uscire dalla propria terra e di andare dove oggi, nel ferito, Dio si fa incontrare.
Siamo chiamati ad essere imitatori del Cristo che “percorreva le strade della Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattia e di infermità (Mt. 4,23).
Un Cristo “in uscita”, “in movimento”, modello di una chiesa missionaria che esce dai recinti, che si cura e si prende cura delle persone ferite “con le parole e le opere”, che non ha paura di entrare nella notte del loro dolore e, come Gesù con i discepoli di Emmaus, si fa compagna del loro viaggio.
La Chiesa è una comunità che accoglie i figli di Dio, senza distinzione alcuna, specialmente nei momenti più deboli, e li aiuta a ritrovare una loro identità sana, ad orientarli alla piena realizzazione e a scoprire il loro specifico contributo salvifico.
Afferma Papa Francesco: “cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è andato o è indifferente.
Traccia per il lavoro di gruppo
Dalla Evangelii Gaudium nel capito primo, paragrafo 5 emerge questa immagine di Chiesa:
- È una chiesa attenta ai contesti in cui vive e nei quali è chiamata ad operare.
- È una chiesa che esce dalle proprie porte, dai recinti per andare dove le battaglie della vita ancora oggi lasciano molti feriti.
- È una chiesa che discerne le ferite che le persone oggi vivono e soffrono, e fa una scelta di quali ferite hanno la precedenza e l’urgenza di essere curate.
- È una chiesa che declina in maniera diversificata la sua capacità terapeutica come curare le ferite, riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità.
- È una chiesa che pianta tende e non costruisce palazzi, per essere sempre pronta ad andare dove nuove battaglie infuriano e nuovi feriti chiedono aiuto.
Domanda: dalla tua esperienza prova a dare un nome alla “porta aperta” e alla “porta chiusa”.
Quali proposte e strategie mettere in atto per aprire la porta?