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COLLEGNO I figli degli 82 dipendenti della Fivit Colombotto contro i licenziamenti

Mio papà perde il lavoro. Colpa della globalizzazione?

L’azienda, non in crisi, si prepara a spostare la produzione in uno stabilimento gemello in Francia

Uno dei disegni dei bambini delle famiglie coinvolte dai licenziamenti dell’ex Fivit ColombottoSpesso gli effetti della globalizzazione sono difficili da accettare per gli adulti, figurarsi per i bambini. Così per i figli dei dipendenti della ex Fivit Colombotto di Collegno: a fine gennaio la Agrati, proprietaria di questa fabbrica di bulloni e viti per elettrodomestici, ha annunciato la decisione di cessare l’attività nello stabilimento e di licenziare tutti gli 82 lavoratori. «Non licenziare il mio papà, fai tornare il sorriso nella mia famiglia» oppure «non lasciare il mio papà senza lavoro» sono alcune frasi, accompagnate da disegni di volti in lacrime, sole scuro e bocca imbronciata, che i  bambini hanno scritto per sostenere i propri genitori in un momento di difficoltà. Così, la crisi economica raccontata con gli occhi dei bambini assume le tinte fosche di una minaccia al diritto alla spensieratezza dell’infanzia. Si danneggia il presente e si minano le basi del futuro. Ma anche davanti a questa destabilizzazione familiare così pervasiva l’azienda, a distanza di un mese circa (25 febbraio), ha confermato quanto ha deciso qualche settimana fa: si chiude. «Il problema – spiega Vittorio De Martino, segretario regionale della Fiom-Cgil – è che in questo caso siamo in presenza di un’azienda sana. Bilanci in positivo, dal 2009 mai un giorno di cassa integrazione e addirittura la settimana prima  dell’annuncio di chiusura si era raggiunto un accordo aziendale per distribuire un premio di produzione. Pare che l’azienda si stia preparando a spostare la produzione in uno stabilimento gemello in Francia». Non in Polonia oppure in Serbia, ma semplicemente al di là delle Alpi. In questo caso ci si potrebbe appellare alla responsabilità sociale d’impresa, all’etica e ad un nuovo modello di sviluppo, ma c’è un fatto inequivocabile: nel vecchio continente sono sempre più i Paesi con tasse più basse, minore burocrazia, costi dell’energia inferiori e reti logistiche e dei trasporti più efficienti rispetto all’Italia. Ora, per tamponare l’ennesima emergenza la strada è già segnata: un piano di ammortizzatori sociali, la nuova morte dolce sociale e d’impresa. In sostanza, una situazione analoga all’Acciaieria Beltrame di San Didero in Valsusa. La settimana scorsa è stata raggiunta l’intesa per un altro anno di cassa in deroga. Anche qui si immaginava di chiudere per concentrare la produzione in Francia e a Vicenza. Ed anche qui di fronte ai limiti strutturali dell’economia nazionale, la risposta migliore che si è trovata è stata la proroga di un altro anno di questo ammortizzatore sociale. Ammortizzatore sociale che, va ricordato, a differenza degli altri viene pagato dalla fiscalità generale. In questo caso, però, il programma di rilancio della siderurgia e dell’attività economica in Val Susa c’era ed era ambizioso: creare una zona franca a burocrazia zero e con costi dell’energia ridotti. Sembrava una strada innovativa, ma il progetto si è arenato a causa delle difficoltà della Regione e dell’inerzia dell’ex ministro allo sviluppo economico, Flavio Zanonato. Altro caso simbolo è quello della De Tomaso. Proprio il 25 febbraio c’è stato un incontro tra il curatore fallimentare, Enrico Stasi, e i lavoratori della prestigiosa casa automobilistica. Anche loro in cassa in deroga fino al 4 maggio, sperano che presto arrivi il tanto atteso acquirente (Lotus), pronto a rilanciare una fabbrica ormai ferma da anni. In realtà, sembrava che un acquirente ci fosse ma «è spuntata la Aps di Borgomanero – spiega De Martino – che di fatto sfrutta il marchio. Questo aprirà un contenzioso legale che potrebbe durare anni e che scoraggerebbe qualsiasi acquirente». In sostanza, torna pesantemente in bilico il futuro di altre 900 famiglie.

 

Michelangelo TOMA (da “La Voce del Popolo” del 2 Marzo 2014)